
Il vulcano del provincialismo italiota ha ricoperto di lava moraleggiante, snobistica, bigotta, ideologica, un artista letto e ammirato da Joyce, Proust, Hemingway, Musil, Valéry, James, Landolfi, Bianciardi, Manganelli. Una cortina di ipocrisia, un cordone sanitario, una sollevazione universale verso l’ingombrante, indigeribile, “infrequentabile” (Rossana Rossanda) poeta, hanno unito per lungo tempo letterati e gazzette, il nord illuminista e il sud sanfedista, l’Azione Cattolica e le Case della Cultura.
Non si sono estraniati da simile palude di conformismo i giornali per i quali scriveva Ennio Flaiano con rare eccezioni, come Leo Longanesi. Flaiano distingueva dannunziani e d’Annunzio: i primi li scansava, ne detestava stile e modi di vita; dell’altro, il suo compaesano, nato a pochi metri dalla sua casa nella Pescara non ancora unita a Castellammare, rileggeva e assaporava i madrigali estivi che gli rimandavano l’estate adriatica dell’adolescenza.
E ogni citazione che l’autore di Tempo di uccidere faceva del poeta di Alcyone rivelava un moto di simpatia, un empito fratellevole, un riconoscimento della sua grandezza. Senza fanatismi di idolatra, ma con serenità di giudizio. Il poeta Flaiano, che con La spirale tentatively ha scritto «la più bella lirica del 900»(Franco Cordelli), sapeva che «Alcyone è il libro generativo della lirica novecentesca e D’Annunzio il padre che occorre idealmente uccidere, ma con cui non si cessa di dialogare.» (Pietro Gibellini)
Giacomo D'Angelo
FLAIANO E D'ANNUNZIO
l'Antitaliano e l'Arcitaliano
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-7497-704-8]
Pagg. 120 - € 10,00
http://www.edizionisolfanelli.it/flaianoedannunzio.htm